Quarto appuntamento con Carola e Matteo, partiti nel mese di giugno dopo aver conosciuto OVCI ed essere stati a Ponte Lambro per la formazione generale. Lui psicologo, Capo progetto del corso di Laurea in Sviluppo Umano; lei infermiera, referente tecnico del progetto CURE.

Come coppia hanno deciso di condividere il loro vissuto con conoscenti e amici, come anche con chiunque voglia entrare un po' più nel vivo di un'esperienza che tentano, attraverso le foto e le parole, di raccontare.

Vi lasciamo ad alcuni stralci di questo primo mese in Sud Sudan... Per leggere l'intero diario di bordo eccovi invece il link alla loro pagina: https://www.condividiamo.eu/wordpress/viaggi/sud-sudan/

 

23 ottobre 

Sabato scorso c’è stato il graduation day, che sarebbe una giornata per festeggiare i laureati. Si perchè la discussione l’hanno già fatta, ma manca la giornata delle proclamazioni. È stata una settimana intensa di preparativi per Elena, la nostra preside di facoltà, che ha dovuto pensare all’organizzazione.

Arrivato all’università mi fanno mettere subito la toga e già mi sento più importante, sembra un film Americano, non fosse che siamo in Sud Sudan. Elena era già lì, elegantissima, in toga anche lei, ma si vede che è preoccupata: all’appello manca qualche studente. Così incaminciano le telefonate in cerca dei fisoterapisti mancanti.

Nel giro di pochi minuti arrivano quasi tutti, ne manca ancora una, la cosa che mi sorprende è l’eleganza, sembra di essere ad un matrimonio: quanto ci tengono a questo titolo di studio!

graduation day 1024x1024L’eccitazzione è nell’aria, Elena ha un sorriso soddisfatto e tutti gli studenti la coinvolgono e la ringraziano, si vede che ci tengono a questo legame che sei è creato negli anni. Ormai anche l’ultima è arrivata, possiamo partire.

Questa è stata la prima volta che ho paseggiato per le strade di Juba e l’ho fatto con la toga, circa 40 studenti laureati, qualche docente, il rettore di facoltà, una banda e due amiche.

Mentre passiamo la strada viene bloccata, le persone si fermano a guardarci, avanziamo lentamente in file da tre, una lenta marcia accompagnata dai suoni della banda si dirige al St. Mary College, davanti la bandiera del Sud Sudan e dell’università, a destra Elena e a sinistra Anna S., entrambe con un sorriso soddisfatto, che probabimente è lo stesso che ho io.

Arrivati al college con un ingresso trionfale fra foto e musica, ci sediamo. Tutto era stato adeguatamente preparato, tendoni e sedie per accogliere staff e parenti.

Ed è stato uno dei momenti più intensi da quando sono qua, nel quale mi sono sentito davvero parte di questo mondo, di questo strano mondo Africano, in cui vivo tutti i giorni, ma nel quale mi sento ancora ospite. La prima volta dentro le loro tradizioni cosi nel profondo, tant’è che rimarrò nelle foto di famiglia di almeno una decina di laureati, tanto erano contenti di far la foto con me. Oggi festeggiamo tutti, Kavaja e non.

5 novembre

Ci vuole coraggio in Sud Sudan per essere fragili. Ci vuole coraggio, perchè ogni giorno potrebbe essere l’ultimo, se non per te, per qualcuno che conosci. In un paese dove nei registri c’è un apposito spazio per i figli morti, non solo quelli vivi, ma anche quelli che non ci sono più.

“Quanti figli ha?”

“Cinque vivi e tre morti”

Segno che qua il tabu della morte non esiste, esiste il problema della mortalità: vita e morte si mescolano quotidianamente.

Molti arrivano e parlano tranquillamente della morte, come parlassero di andare a far la spesa; le parole non traspirano emozioni e questo mi ha sempre molto colpito.

Forse è una loro difesa, forse è un abitudine, chissà, in ogni modo si arriva a normalizzare la morte.

“Un solo figlio? E se poi muore come fai?”

Questa settimana, purtroppo, due storie mi hanno molto colpito: Alisson e Juma.

Entrambi hanno perso qualcuno: il primo un nipote a cui teneva, e il secondo la moglie del fratello e il figlio, morti entrambi durante il parto.

Mi hanno colpito non tanto le incredibili e sfortunate storie, ma il modo in cui lo raccontavano, la profonda tristezza nelle loro voci, nel loro corpo, nei movimenti, portavano con loro per Usratuna il peso del lutto e del dolore.

E tutto ciò mi ha sorpreso, perchè ci vuole coraggio, in un modo dove ogni settimana (o quasi) qualcuno muore, a rimanere fragili, aperti e non rassegnarsi.

Avere il coraggio di rimanere fragili è sempre un salto nel buio che mette alla prova noi stessi.

Conosciamo noi stessi solo fin dove siamo stati messi alla prova” (Szymbroska).

Questa avventura è un continuo conoscersi e ri-conoscersi.

12 novembre

OVCI è una potenza, nonostante sia una piccola ONG, è una continua risorsa, è portare ai più deboli l’accesso ad una vita migliore e con essa speranza,  anche in un paese come il Sud Sudan dove neanche chi non ha disabilità vive bene. Eppure qua ci si impegna per gli ultimi, per i penultimi e forse anche per i terzultimi.

Questa settimana abbiamo avuto un training con Save the Children, cioè una delle più grandi organizzazioni al mondo, aveva radunato delle altre ONG perchè noi parlassimo, perchè portassimo la nostra esperienza decennale in Sud Sudan, perchè la condividessimo.  Ed è incredibile, quante bellissime cose possiamo portare. David un operatore di comunità ha portato la sua esperienza, le barriere che si incontrano in Sud Sudan, i problemi nelle scuole, i problemi nelle famiglie e nelle classi.

per tutti i bambini del mondo 1024x1024Natalina e Hillary hanno descritto quello che facciamo ad Usratuna, con la prescuola per bambini disabili, dove integriamo tutti, cerchiamo di dare a chi non ha voce una voce, una possibilità. E dove abbiamo classi di sordi, insegniamo loro la lingua dei segni e non solo a loro, alle famiglie, alle insegnanti, permettendo a tutti di potersi isprimere. Finendo con un siparietto nel quale traducevano una canzone nel linguaggio dei segni a tutti i partecipanti.

La vera domanda è cosa ci facessi io, visto che non ho esperienza pratica del Sud Sudan, ma ho parlato di cosa significhi avere un approccio inclusivo nell’educazione e nella società. E l’arrivo alla conferenza è stato tremendo, un ansia incredibile prima di parlare, di fronte a tante ONG, di fronte a rappresentati locali di Save the Children, e poi ho iniziato. Da li ho visto che potrei parlare per ore di quello che mi appassiona e sto riusciendo a farlo anche in inglese.

Ed è stata un’occasione per me bellissima, dopo il mio intervento, Hillary si avvicina e mi fa “Ma si vede che tu lavori con l’università, noi non siamo molto bravi a parlare davanti a tanta gente”. Che personaggio incredibile, di un’umiltà profonda, che lavora da tanti anni come logopedista nel nostro centro, ma nonstante l’esperienza e le capacità è ancora incerto di fronte alle nuove esperienze, si approccia con garbo, come ogni giorno lo vedo fare con ogni nuovo paziente che arriva.

Ecco questa è una parte di Usratuna, che è difficile descrivere tutta assieme, che è difficile da contemplare, perchè cerchiamo davvero di aiutare tutti. Basti pensare che abbiamo dipendenti sgangherati con alle spalle storie incredibili, ma che darebbero e farebbero di tutto per rimanere qua.

Certo ci sono anche tanti difetti, ma l’immensa mole di persone, di esperienza di quotidiana meraviglia che portiamo in tante vite e che speriamo di esportare anche in altre realtà, è quello che vedo tutti i giorni.

Penso sia proprio per questo che bisogna continuare ogni giorno, come diceva Russell “Siate il peso che inclina il piano”. Anche un piccolo peso può inclinare il piano, può cambiare le sorti di tante persone.

“Per tutti i bambini del mondo” (in particolare quelli con disabilità).

 

Carola Esposito e Matteo Ghini, collaboratori a Juba

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